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lunedì 24 marzo 2014

Quanto pesa Belen?

Carissimo internauta, benvenuto sul mio blog. Probabilmente sei arrivato fin qui perché preso da un'insaziabile voglia di conoscere il peso di Belen e magari pure la sua altezza hai deciso di scrivere su Google la fatidica domanda che trovi nel titolo.
Dopo averla scritta hai premuto invio e facendo scorrere una lista di siti sei capitato anche sul mio.
Riuscirò a risponderti?
Vediamo!
Qualcuno diceva che il peso dell'anima è di 21 grammi, lo raccontava un film, 21 grammi di Alejandro González Iñárritu, che riprendeva la teoria del Dott. Duncan MacDougall. Lo sapevi? Vedi hai già imparato una cosa intelligente mentre cercavi il peso di Belen. 
Posso farti io una domanda, carissimo internauta? Perché vai cercando il peso di quella donna? A cosa ti serve? Vuoi forse confrontarlo con il tuo?
Beh, dato che sono in vena di polemiche (cosa che se non avevi ancora capito, preferisco chiarire fin da subito onde evitare travisamenti vari ed eventuali) voglio spiegarti perché ti servirà di più sapere che l'anima pesa 21 grammi piuttosto che sapere il vero peso di Belen.
Ecco cosa penso:
Il peso di Belen non salverà le sorti dell'Italia, ma peggio ancora non migliorerà la tua vita.
Non è sapere il peso di Belen che ti permetterà di farti una vacanza alle Maldive, di passare indenne la maturità, di sopravvivere all'interrogazione di matematica. Sapere il peso di Belen non ti servirà in quei momenti critici quando la gente urla: "C'è un medico?", sapere il peso di Belen non ti servirà per consolare la tua amica in lacrime perché è stata lasciata dal ragazzo. 
Sapere il peso di Belen non ti pagherà gli scontrini al supermercato, le borse e i vestiti.
Sapere il peso di Belen non farà curriculum, anzi, mi hanno detto di evitare come la peste di pronunciare certe passioni ai colloqui.
Sapere il peso di Belen non ti renderà una persona migliore nemmeno quando sarai comodamente seduta dalla parrucchiera a spettegolare. Per spettegolare seriamente dovrai conoscere l'ultimo pettegolezzo della settimana, il quel momento il peso di Belen sarà già obsoleto.
Sapere il peso di Belen perché lei è il tuo modello di vita fa un po' ribrezzo. Vorrai mica diventare un suo clone? Diventa ciò che sei, perfeziona le tue abilità e soprattutto vivi la tua vita. Se hai 5 kg in più non torturarti, sii te stessa!
Certo, Belen è una bellissima donna, ma non è l'unica donna nel mondo, esistono molte altre donne alle quali puoi ispirarti.
E se sei un maschietto, ricordati che noi donne non siamo tutte come Belen, non abbiamo una schiera di massaggiatori che ci tengono in forma e ci faranno sembrare delle ventenni anche a cinquant'anni suonati, come Madonna. Non abbiamo tutto il tempo libero da dedicare alla palestra per perfezionare il nostro corpo e scolpirlo come se fosse un pezzo di marmo di Carrara. 
Per carità, se poi vuoi sapere quanto pesa Belen senza alcun fine, giusto per dire "So anche questo", cercalo pure, nessuno te lo vieta. L'importante è non fossilizzarsi e porsi degli obiettivi impossibili per noi. Il soggetto in questione è Belen, ma può essere qualsiasi altra diva Italiana o del mondo. 

Spero di non aver offeso nessuno, ho voluto scrivere questo post per tutte le ragazzine e le donne che si demoralizzano perché magari non possono diventare come Belen o come molte altre donne dello spettacolo: siate felici di quello che siete e soprattutto fate sogni che siano vostri, con i colori che vi piacciono!




venerdì 14 dicembre 2012

From Japan with love!

Oggi vi voglio parlare di una blogger che ho scoperto grazie a youtube proprio qualche ora fa. Si tratta di


Micaela Braithwaite

Youtube--> CLICCA!
Blog--> CLICCA!

Una ragazza canadese che abita in Giappone
Calcolando che io non sono mai stata nè in Canada, nè in Giappone, molti di voi si domanderranno: perché dovrebbe interessarti?
Dunque, Micaela posta dei video e scrive dei post bilingue, solitamente sono abituata ai blog in Italiano e Inglese, in questo caso scrive in Inglese e Giapponese. Trovo sia un interessante esercizio per noi Italiani, sia ascoltarla che leggere quello che scrive, si capisce perfettamente e non ha uno stile troppo complicato. Ovviamente io leggo la parte in Inglese. 
I suoi video poi sono ricchi di spunti e riferimenti alla cultura giapponese, se siete amanti di questo popolo, non lasciateveli scappare! Sono tutti sottotitolati, inglese o giapponese in base a quello che sta dicendo e con chi sta parlando.
Se non sbaglio, Micaela è anche musicista, ho guardato troppi pochi video per sapere tutto sulla sua vita, ma mi pare di aver capito qualcosa del genere. Di certo ha frequentato una scuola di musica in Giappone e ovviamente ha studiato Giapponese ed è da un po' di anni che vive in questa nazione. 

Io ho un'amica giapponese (che ogni tanto legge anche Life in Technicolor) e che l'altro giorno ha provato a spiegarmi come funzionano gli ideogrammi e i tre alfabeti giapponesi, diciamo che due o tre cose le ho capite, ma non riuscirò mai a memorizzare quei simboli! Mi sembra una cosa impossibile, perlomeno per me!
Quindi se mai andrò in Giappone, credo che parlerò in...inglese! Oppure mi farò capire a gesti, tanto noi Italiani siamo bravi in queste cose, no?

Detto questo, torno alla mia tesi. 
Alla prossima!


martedì 11 settembre 2012

Ugly Betty e il bacio che mancava

Ieri ho terminato due cose una seria...e una serie (ah-ah-ah)!
Ho finito gli esami della magistrale (evvaiiiii) e la serie Ugly Betty.
Inutile dire quanto sia felice di aver terminato gli esami e quanto sia triste dopo aver terminato Ugly Betty
Andiamo con ordine, tralasciamo il mondo universitario e chiedo scusa per eventuali spoiler!
Ho iniziato a vedere Ugly Betty ad agosto, fine luglio al massimo, e, grazie a un utente di you tube che ha caricato tutte le stagioni, mi sono divorata tutte le puntate con una media di tre al giorno e ora mi manca!
Non è la serie tv del secolo, ma onestamente è carina e divertente, i personaggi sono ben studiati e costruiti e il filo logico percorre bene o male tutte e quattro le stagioni. Sappiamo che è stata chiusa a causa del calo di ascolti, ma effettivamente ritengo che tirare ancora per le lunghe la questione "Betty e il suo lavoro da giornalista" sarebbe stato eccessivo. La conclusione è stata tutto sommato decorosa, tranne per un piccolo e direi importante particolare: Betty e Daniel non si baciano!
Diamine, ho divorato gli episodi anche per sperare nel bacio finale...e invece nulla! Che i due si amassero lo si capiva da tempo immemore, ma il bacio, caspita, il bacio!!
Sinceramente spero ci sia un film, un qualcosa, una megapuntata...non so...insomma, uno attende per novanta e fischia episodi un bacio e arriva in fondo e si abbracciano? Poca gioia...
A parte questo, che sarebbe stata la ciliegina sulla torta, è una serie piacevole da guardare, che racconta il tremendo mondo della moda e la vita di una giovane donna che in quattro anni attraversa vicende differenti, che la cambieranno e la rafforzeranno fino a portarla a fare una scelta molto importante nella sua vita.
Betty cresce, cambia e lo fa in meglio, un personaggio forse eccessivamente positivo, buono, ma che onestamente spero esista nel mondo, sarebbe bello se la gente pensasse di più all'esito delle proprie azioni, come fa Betty. Ma il personaggio di Betty non è l'unico che ho amato, Claire è fantastica, Daniel è meraviglioso ed entrambi presentano una crescita personale significativa. 
La coppia Matt e Amanda è spettacolare e nella loro cattiveria risultano tremendamente simpatici e travolgenti, anche se ammettiamo che le loro battute sono spesso cattive.
Wilhelmina, nome ipronunciabile, è la cattiva del gruppo, ma come tutti i cattivi che si rispettino...anche lei ha un cuore tenero e c'è qualcosa che effettivamente la intenerisce. Poi c'è Cristina, l'addetta al guardaroba, che è meravigliosa, Hilda, la sorella di Betty che non le somiglia in niente, Ignacio, il padre di Betty, che è sempre ai fornelli e il nipote Justin che è appassionato di musical.

Vi consiglio di guardarla se volete staccare un po' il cervello, effettivamente la narrazione si semplifica via via con le stagioni, la prima ha molti tratti noir, mentre la seconda e le altre prendono un'altra piega. Tutto sommato però è piacevole da guardare, non fa venire l'orticaria perché la struttura regge alla grande!
Peccato non ci sia quel bacio!

domenica 2 settembre 2012

La ragazza di Charlotte Street: Recensione!

Quando ho visto che sarebbe uscito in libreria questo libro mi sono detta: devo assolutamente leggerlo! Avevo moltissime aspettative nei confronti di La ragazza di Charlotte Street:
- è ambientato a Londra
- dicono che Danny Wallace ricordi lo stile di David Nicholls
- Danny Wallace ha scritto la sceneggiatura di Yes Man, che per quanto non sia il film più figo degli ultimi anni è sicuramente un buon prodotto
- Danny Wallace lavora in tv
- è un esordio letterario
- la storia parlava di foto
- avevo voglia di una storia che facesse sorridere, una buona storia
Ho avuto la fortuna di trovarlo ad un prezzo super scontato su libraccio.it, come vi avevo raccontato QUI, e dopo aver terminato di leggere La Zona Morta di Stephen King, mi sono subito fiondata a divorarlo.
Che dire: mi è davvero piaciuto molto!
Insomma, la storia all'inizio può sembrare banale: ci troviamo di fronte al solito personaggio che viene lasciato dalla ragazza che ovviamente ha già trovato un ottimo sostituto, migliore del nostro protagonista che, oltre ad essere tornato single, ha avuto addirittura la brillante idea di abbandonare l'insegnamento per dedicarsi al giornalismo. Fino a qui gli ingredienti sono i soliti, ottimamente gestiti da Danny Wallace che riesce ad inserire quel quid in mezzo a tutto questo che costringe il lettore ad incollarsi al libro. Il nostro protagonista, che è bene direi chiamare con il suo nome: Jason, una sera su Charlotte Street aiuta una signorina sconosciuta a salire sul taxi. La ragazza è stracarica di sacchetti e durante l'operazione dimentica una macchina fotografica usa e getta nelle mani di Jason. Grazie a questo espediente inizia la vera storia di Jason che da ex in tutte le cose che ha fatto fino ad ora, ricomincia a prendere in mano la sua vita alla ricerca della ragazza di Charlotte Street. Incoraggiato dall'amico coinquilino Dev inizierà a sviluppare le foto della macchina fotografica così tremendamente demodè e deciderà di dare un nome a questa giovane e affascinante donna, soprattutto perché nelle varie foto compare anche Jason, sullo sfondo certo, ma c'è anche lui e...quanto è strano trovarsi nelle foto di altre persone completamente sconosciute? 

La storia poi, è quasi scontato, ma lo dico, evolve in mille sfumature (grazie al cielo non di grigio, come va di moda di questi tempi...), con ex partorienti e in procinto di sposarsi che ritornano, impegni più o meno legati al lavoro, gite fuori porta...il tutto servito in tavola con la giusta dose di humor e simpatia che rende il protagonista Jason ancora più reale e sicuramente adorabile agli occhi del lettore. Jason non è un play boy, tutt'altro! E' forse l'anti Mr Grey, Jason è un moderno pasticcione, insicuro, un po' sognatore, con la sua buona dose di rimpianti e particolarmente incline a fare figuracce, insomma una persona normale, ma mai banale. 
Che dire, un libro affascinante, da leggere assolutamente, da regalare alle amiche, agli amici, a chi magari ha bisogno di leggere una storia carina, divertente, piacevole. Un libro che segue effettivamente la falsa riga di David Nicholls, proprio per questo motivo mi auguro di leggere presto un nuovo libro di Danny Wallace.




VOTO



Gli eroi delle Paralimpiadi

Qualche settimana fa eravamo tutti in preda al fascino Olimpico, contavamo gli ori, controllavamo il medagliere ogni sera per vedere quale nazione si era aggiudicata più medaglie, ascoltavamo i gossip, le interviste post gara degli atleti, le sciocchezze di certe prime donne. Da qualche giorno sono cominciate le Paralimpiadi e tutto tace. Nessuna televisione dedica spazio alle gare, nessuno si ricorda di questi atleti e della loro doppia fatica nel raggiungere quel traguardo. Per loro più che mai essere all'olimpiade, rappresentare il proprio paese è un traguardo, ogni giorno per loro è una sfida, vederli gareggiare fa venire la pelle d'oca perché loro credono pienamente in quello che stanno facendo, non generano pettegolezzi, voci di corridoio, loro vivono per lo sport, quello vero! Scendono in pista, in piscina, sul campo e gareggiano nonostante tutto, nonostante tutti.
Paolo Villaggio ha dichiarato che le Paralimpiadi sono uno spettacolo triste. Mi dispiace dirlo, ma di triste c'è solo la sua affermazione. Deve ringraziare il cielo ogni giorno di non essersi mai trovato a dover convivere con qualche handicap fisico! 
Credo che nessuno possa sapere quello che si provi fino a quando non si entra in contatto con queste cose. Ho conosciuto nella mia vita diverse persone disabili, la cosa che mi ha stupito maggiormente, e che rivedo in questi atleti, è il loro sorriso. 
Loro sorridono. 
Noi siamo dei musoni, non riusciamo a vedere il bello delle cose, non ci rendiamo conto di quanto sia meraviglioso poter vedere le cose illuminate dalla luce del sole, poter vedere il cielo che si fa nuvoloso prima di piovere, poter scendere dal letto con le nostre gambe, poter far da solo ogni cosa. Loro hanno bisogno di qualcuno che sia per loro occhi, gambe, braccia, orecchie....
Penso che le Paralimpiadi ci debbano sensibilizzare, debbano aiutarci a guardare con il cuore, a capire la forza, il coraggio di queste persone e di ugelli che gli stanno accanto, perché i disabili non sono qualcosa di cui aver paura o da nascondere, sono maestri di vita! Loro hanno il coraggio di sorridere nonostante tutto e nonostante tutti. Penso che rideranno alle affermazioni di Paolo Villaggio, parole al vento, che lasciano il tempo che trovano ma che ahimè rispecchiano il pensiero di molti. Non credo di per cambiare il pensiero di queste persone, ma chiedo a loro solo un istante di provare a immedesimarsi in uno di questi ragazzi, provare ad immaginare, anche se so che è impossibile, almeno un briciolo di quello che vivono nel quotidiano...e poi ditemi seriamente se questi non sono EROI.

mercoledì 14 marzo 2012

Voglio scrivere per Vanity Fair

Ebbene sì, dopo soli due giorni, ho terminato il libro di Emma Travet (al secolo Emma Vagliengo). Insomma, non sono riuscita a staccarmi, l'ho letto fino a notte fonda, dovevo sapere come andava a finire, mi mancavano 10 pagine: come si fa a lasciare un libro fermo per otto ore quando manca così poco alla fine?
Beh, ho resistito e ho spento la luce un po' più tardi del solito e credetemi: ho fatto benissimo!

Questi due giorni, trascorsi in compagnia di Emma, sono stati a dir poco piacevoli e spero di rendere merito al libro attraverso questa recensione.
Andiamo con ordine.

Emma Travet è una giornalista precaria, che viene pagata 699€ al mese. Sogna, fin da piccola, di lavorare nel mondo del giornalismo, in particolare di scrivere su Vanity Fair, ma si sa che in questo paese, l'Italia, la strada per il successo è costellata da gente che ti passa davanti perché figlio di, amico di, cugino di, fratello di, oppure è stata/è stato con. Quindi in attesa di tempi migliori, Emma si ritrova a lavorare per il meno famoso La Voce del Monviso alle dipendenze del famigerato Mr. Vintage come pubblicista. 
I fili con cui Erica ha tessuto la trama di questo libro ci portano inevitabilmente a pensare ad altri due libri americani: in primis Il diavolo veste Prada di Lauren Weisberger e poi tutta la saga di I love shopping di Sophie Kinsella. Certo, la moda è centrale in Voglio scrivere per Vanity Fair, ma l'ingrediente che rende questa vicenda diversa dalle sorelle d'oltreoceano è il precariato
Emma ha uno di quei disgraziatissimi contratti co.co.pro., per questo è pagata una miseria, Andrea de Il diavolo veste Prada è schiavizzata, ma il suo lavoro viene definito: "Per pagare l'affitto" cosa che, per vivere a New York, significa guadagnare un bel gruzzoletto di soldi anche per la stanza più schifida del mondo, inoltre il suo periodo di prigione presso Runway è sicuramente un ottimo trampolino di lancio per diventare poi giornalista. E' una cattività che di sicuro porterà a qualcosa, mentre Emma non sa cosa l'attende e soprattutto se esiste un futuro oltre il suo attuale impiego.
L'altra fashionista, Rebecca Bloomwood, tutto sommato, tra una spesa eccessiva e l'altra alla fine riesce sempre a salvare capra e cavoli grazie a un fidanzato ricco e ad altri stratagemmi. Emma ha un marito, ma non è ricco, è precario quanto lei, fa due lavori per guadagnare a fine mese 1100 euro. 
La storia di Emma può essere quella di Sara, Lucia, Maria, Lorenzo, Marco, è la storia dei giovani Italiani, è un percorso di presa di coscienza che fa capire che dall'attuale sistema lavorativo italiano non ci si può aspettare nulla: bisogna solo avere il coraggio di rimboccarsi le maniche e cercare di tirare a fine mese, arrivando a volte anche a compromessi e a inventarsi i lavori. Già perché quello che di certo non manca a Emma è proprio questo: la fantasia.
Altro punto che la differenzia dalle due sorelle americane, è il "dove e come" è nata Emma. Dalle numerose interviste fatte ad Erica sappiamo infatti che Emma è sbarcata prima di tutto su Myspace e poi in un blog su style.it, che potete leggere a questo indirizzo: CLICCA!
Emma Travet quindi, prima di finire in un libro, è diventata molto popolare sul web, Erica ha creato una vera e propria campagna di Self Marketing che dice davvero molto riguardo le sue abilità dimostrando di conoscere molto bene le potenzialità legate al mondo del web e in particolare dei tanto criticati social network, che nonostante tutto sono gratis e se sfruttati bene ti fanno tanta pubblicità.
Sempre parte di questa sua campagna sono gli adesivi che Erica regala alle presentazioni dei suoi libri e che mi ha gentilmente inviato con il libro insieme al magazine free press di Erica: LookoutMag, un interessante rivista di cui potete avere un'anteprima on line qui: CLICCA!
Sulla fascetta che avvolge il libro mi ha fatto sorridere il commento di Silvia Nucini per Vanity Fair: "Una piccola storia consigliata al ministro Brunetta per rivedere la sua teoria sui bamboccioni", ora abbiamo un governo tecnico e fortunatamente per il momento il ministro più alto del mondo sembra aver finito di sparare sentenze, ma mi domando, gli domando, come è possibile non essere bamboccioni con 699€ al mese, quando per abitare da soli in città almeno 300/350€ per una stanza te li chiedono, quando vai a fare spesa e minimo sono 50€ la settimana. Certo, si può risparmiare,  fino a quando uno è da solo i sacrifici li fa anche, ma se si vuole creare una famiglia? Cosa fai con 699 euro al mese più 1100 euro del marito? Fai la fame. Ecco la risposta! E allora perché investire tutto lo stipendio per casa e cibo, quando i tuoi genitori non ti buttano fuori casa e ti danno vitto e alloggio? Purtroppo la vita costa e uno deve fare le sue scelte in base anche ai soldi che guadagna, certo, alcuni hanno il coraggio di osare, altri no. Sinceramente non gliene farei una colpa. 
Emma però ha una marcia in più: non si arrende, niente la abbatte, anche se il perfido e puzzolente capo, Mr. Vintage è ottuso e insensibile verso le esigenze delle nuove generazioni, lei è sempre propositiva, alla ricerca di argomentazioni per i nuovi pezzi.
Voglio scrivere per Vanity Fair è un libro da leggere assolutamente perché è la voce di una generazione (se andiamo avanti di questo passo), è una storia vera, non fermatevi al titolo, nella vita non si può leggere solo Guerra e Pace, ogni tanto buttate un occhio sugli scrittori contemporanei, perché anche loro hanno molte cose da dire. 
E' un libro da leggere in particolar modo se siete di Torino o avete vissuto in questa città, perché nonostante tutto Emma non dice mai di voler scappare all'estero, amici che lavorano in altre nazioni ne ha un sacco, ma lei vuole fare la giornalista in Italia. Ama la sua città e la racconta nei migliore dei modi. 
Speriamo esca presto la seconda puntata!

Terminato il libro mi è rimasta in testa una domanda: ma Vanity Fair ha mai contattato Erica per proporle una collaborazione? Spero prima o poi di poterglielo domandare! 


sabato 3 marzo 2012

La morte della farfalla



I ruggenti anni 20 non hanno mai smesso di affascinare, il loro ingredienti principali che spaziano dal Jazz, al Wisky e Gin, alle feste in stile Grande Gatsby, a pailettes, frange, piume e lustrini, sono elementi che creano un mistero e un alone di felicità e spensieratezza intorno ai personaggi che hanno vissuto e segnato profondamente quel periodo. Che sono nati in quegli anni e poi si sono incamminati lungo gli anni 30 raccontando senza timore la propria patria Americana.
Ammaliata da questo mondo, a noi così lontano, che possiamo rivivere solo dai film e dai romanzi mi sono persa anche io tra le pagine di un libro che, a mio parere, tutti dovrebbero leggere: Il Grande Gatsby. Un’opera brillante, significativa e rappresentativa di una generazione che ha abitato e cambiato l’America. Non è però di questo libro che vi voglio parlare, bensì del suo autore: Francis Scott Fitzgerald e della sua vita. Tutti noi probabilmente siamo entrati in contatto con le sue opere già al liceo, nel mio caso il vero incontro con Fitzgerald è avvenuto recentemente, la mia prof aveva prediletto Hemingway a lui. Scelta discutibile, ma sono gusti.
Dire che Fitzgerald è un bravo scrittore, equivale a dire che l’acqua è bagnata, penso che tutti siano coscienti di questo. Convinta di questa affermazione, ho voluto andare oltre e cercare l’uomo Fitzgerald, l’uomo dietro i suoi libri. E’ un percorso che ho intrapreso da poco e che, per motivi vari, viaggia a rilento. Influenzata forse da Midnight in Paris di Woody Allen mi sono resa conto di voler sapere di più su questo autore, in particolare sul suo rapporto con Zelda e dopo una prima, rapida e, ammetto, superficiale ricerca su internet mi sono imbattuta in un libro di Pietro Citati.
Premesso che io non sono un critico letterario e una studiosa di Fitzgerald, ho deciso di avvicinarmi a questo libro semplicemente per l’argomento trattato: Zelda e Francis Scott Fitzgerald, come recita il sottotitolo.
La vicenda narrata, a mio parere troppo velocemente, ci racconta la storia di due vite, tragicamente e magicamente intrecciate tra loro, due esseri incapaci di esistere in assenza dell’altro. Due entità che sono in grado di vivere al meglio solo se in presenza l’uno dell’altro. Ecco quindi che l’esistenza di Francis e Zelda trascorre tra case lussose, bicchieri di gin, gite, pagine dense d’inchiostro e tanta sofferenza.
Due personaggi belli e dannati, come sono stati definiti da molta critica letteraria, che hanno regalato molto al mondo letterario, non solo Francis con i suoi romanzi, ma tutto il fascino e il mistero delle loro vite è un romanzo degno di essere letto e conosciuto. Due vite terminate in tragedia, più o meno cercata, quella stessa tragedia che ha segnato il loro amore così denso di passione e così tormentato. 

La mia ricerca sulla storia dei Fitzgerald non si ferma qui e nemmeno la lettura delle opere di Francis. Sarà un viaggio molto interessante, lo sento!

lunedì 16 gennaio 2012

Benedetta Parodi e la sua cucina

Vi ricordate i tempi in cui la Parodi cucinava in 10 minuti scarsi a Studio Aperto? Beh, quei tempi ormai non ci sono più, ora si è guadagnata un'ora di programma su La7 e oltre a cucinare insegna a preparare la tavola e spesso con gli ospiti dà dritte su composizioni floreali, cocktail e quant'altro.
Sono state molte le critiche nei suoi confronti per la sua dubbia abilità culinaria: non solo per le sue ricette in cui burro, olio e uova spopolano in dosi massicce, ma anche per come si muove in cucina.
Effettivamente la cucina della parodi e da ascrivere ai metodi culinari del "su su, facciamo anpressa", piatti pratici, veloci, in cui le verdure sono cammuffate per farle mangiare ai bambini, dove a volte gli ingredienti tipo la pasta frolla sono già pronti perchè acquistati al supermercato. Premesso che non ci voglia proprio nulla ad impastare un po' di pasta frolla, Benedetta Parodi incarna perfettamente la donna di oggi, perennemente in lotta tra lavoro e figli, cucina e lavatrici, macchie e colloqui con le insegnanti. Tutto deve essere spiccio, pratico, ma deve fare scena, deve saper incantare quegli amici che hanno il coraggio di venire a cena da te nonostante i tuoi figli siano insopportabili e ti distruggano ogni cosa nel raggio di 20 metri.
Benedetta è la mamma del 2012, che davanti alle telecamere dice che non porta i figli al Mc, ma che poi si scopre che in casi estremi anche il poco nostrano hamburger con patatine diventa un piatto adatto a riempire i pancini dei pargoli, a patto che il giorno dopo mangino le polpettine di spinaci.
Alter ego della Parodi è la Clerici che in cucina sembra un muratore alle prime armi in un cantiere, ogni oggetto utilizzato in cucina diventa un elemento di arredo di cattivo gusto e solitamente regalato dalla fan che la seguono da casa...de gustibus. 
Poi ci sono quei programmi un po' più seri, c'è Alessandro Borghese, che con quattro patate e un po' di prezzemolo ti ripropone un'insalata di patate che mangiava il Duca Pincopallino in America mentre giocava a golf.
Che dire, ormai tutti vogliono diventare cuochi ed evidentemente ci riescono anche! Ormai è normale sentire la gente che dice:  "Ma che buona questa torta! Di chi è la ricetta?" e l'altra ti risponde: "Ma della Parodi, ovvio!". La domanda a questo punto sorge spontanea: la Parodi riformerà il nostro modo di cucinare?
Lo scopriremo solo vivendo, direi, anche se spero che questo non avvenga mai!

domenica 15 gennaio 2012

Claudio Magris

Giovedì scorso, 12 gennaio 2012, nel mio Collegio c'è stata una serata revival, è tornato infatti a "casa" un uomo che in collegio ha trascorso i suoi cinque anni di studi Torinesi: Claudio Magris.
E' stato bello vedere e ascoltare come egli, Triestino, ha deciso di studiare a Torino, ha scelto lettere piuttosto che cinema a Roma e poi ha seguito la strada delle letterature germaniche.
E' stato bello sentir parlare della Torino che fu...quando negli anni 60 si andava al cinema a vedere Fino all'ultimo respiro di Godard, ci si arrabbiava di fronte a coste scontate, si fondavano riviste, i giovani avevano maggiore fiducia nel futuro, non si parlava così tanto di fughe di cervelli all'estero.Laureatosi a Torino in letterature germaniche con una tesi intitolata: Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna, ha ottenuto quindi, dopo tutto il percorso richiesto dal caso, titolare della cattedra di letterature germaniche prima a Torino, poi a Trieste. Nel 2007 è stato anche nominato come possibile vincitore del Nobel per la letteratura.
Io e le altre mie amiche presenti in sala al sentire questo racconto, essendo tutte iscritte a facoltà umanistiche (lettere, filosofia e dams cinema) ci siamo domandate se quella Torino esiste ancora. La domanda è stata fatta anche a Magris: quella Torino non esiste più, ma nessuna città italiana ha preso il suo posto, perchè Torino è diventata quella Torino solo in virtù di ciò che ha vissuto. 
Torino certo non ha l'importanza di Milano, eppure di storie ne ha da raccontare anche lei, storie di sogni realizzati, storie che hanno rivoluzionato il pensiero e le ideologie politiche italiane. 
Magris ama Torino e le sue parole lo fanno capire senza dubbio. Quando scriveva andava da Fiorio, in via Po, aveva il suo tavolo, amava scrivere in mezzo alla gente, certo non doveva esserci troppa confusione, ma il bello di lavorare nei bar è che subito capisci l'interesse che la gente ha per le persone che scrivono: nessuna. Insomma, diventa una palestra di vita. E ha ragione, cavolo!
Ora abita a Trieste, ma non può fare a meno di tornare nella sua Torino ogni tanto, per salutare i vecchi amici, per rivedere i vecchi luoghi. 
Un personaggio molto interessante, molto colto ma allo stesso tempo di un'umiltà incredibile, quasi spiazzante che sicuramente dovrebbe insegnare molto agli studenti di oggi. 

domenica 4 dicembre 2011

Cabello's style

E' interessante ogni tanto soffermarsi sui vestiti sfoggiati dalle presentatrici televisive. Se ne vedono davvero di tutti i colori: dagli improponibili vestiti multi strato, multi color, multi tutto della Clerici alle mise più eleganti di una dei miei personaggi tv preferiti (che ho anche avuto la fortuna di vedere dal vivo nel 2008 a Courmayeur!!) Victoria Cabello. Non saprei se sia il caso di definirla icona della moda, ma icona lo è.
Innanzi tutto la sua immancabile frangetta che è sempre tagliata precisa e perfetta, che su altre potrebbe sembrare demodè, ma su di lei fa lo stesso effetto dei tatuaggi sulla Pina, è parte del personaggio. La rende più sbarazzina, più bimba e quindi le è concesso dire cose che normalmente le presentatrici stoiche non direbbero. Victoria ha senso in funzione della sua frangia.
I capelli poi, oltre la frangia, sono sempre acconciati in modi semplici, ma eleganti che esaltano il suo viso e l'abito che indossa. 
Il suo fisico poi le permette di indossare qualsiasi capo di abbigliamento, tacchi rigorosamente alti e meravigliosi. 
Ma Victoria non è solo moda, Victoria è un personaggio inimitabile ed unico, è una donna di grande successo che ne ha fatta di strada da quando nel lontano 1996 a soli 21 anni ha iniziato a condurre un programma su TMC2/Videomusic. 
Tutti noi la conosciamo come Vjay di MTV, tutti noi sappiamo che parla l'inglese meravigliosamente (certo, sua madre è madrelingua!), l'abbiamo vista a Sanremo, l'abbiamo applaudita in VeryVictoria, abbiamo riso per le splendide pubblicità con l'amico-fidanzato Gorilla (da cui è nata una vera serie visualizzabile su yt) e ora ha invaso i salotti italiani della domenica pomeriggio con Quelli che il calcio prendendo il posto dell'altra donna-rai: Simona Ventura, che, ammettiamolo, ultimamente aveva un po' stancato. 
Parallelamente alla trasmissione sulla Rai, continua il suo lavoro su MTV conducendo il programma Victoria's Secret. 
Insomma, una carriera in continua ascesa, un personaggio che al pubblico piace molto e che sicuramente ha portato ventate di novità in ogni cosa che le è passata per le mani. Come dimenticare l'intervista a John Travolta durante il festival di Sanremo?
Speriamo ci siano più ricambi generazionali come questo sulla Rai, ultimamente ci stanno fornendo troppe minestre riscaldate!!!



martedì 30 agosto 2011

The September Issue


Dopo mesi di silenzio cinematografico, si torna a parlare di un film che ho visto, in questo caso di un documentario, e che era sullo scaffale dei film da vedere da un bel po' di tempo.  Non è una pietra miliare nella storia del cinema, ma quello che racconta è un interessante spaccato del mondo della moda e dell'editoria.


Ogni mese di settembre e nel mondo della moda accade qualcosa di singolare: esce il numero di Vogue America che detterà le regole del look per molto e molto tempo. Dopo mesi e mesi di prove, foto, set fotografici, trucchi, modelle e modelli, nuovi brand, nuovi stilisti, colori, litigi e cappuccini, bevanda preferita dalla direttrice, Anna Wintour pubblica quello che è il numero più importante dell’interno anno. Se siete appassionate lettrici di Vogue, nel nostro caso probabilmente la versione italiana, dovete assolutamente guardare il documentario, anche se non molto recente, intitolato The September Issue.
Distribuito nelle sale cinematografiche nel 2009, attualmente reperibile in dvd, il documentario narra il backstage della creazione del numero settembrino di Vogue America, è un viaggio molto interessante all’interno del mondo della moda, delle modelle, dei servizi costosissimi. Con poche omissioni ci viene raccontato come vengono selezionati i capi, gli scatti, i volti che diranno quella che dovrà essere la moda dell’anno successivo. Anna Wintour, tra un cappuccino e l’altro, non si risparmia davanti alle telecamere e senza paura cancella interi servizi fotografici o boccia accostamenti di stile proposti dal suo staff. Semina il panico generale quando arriva in ufficio e non si limita nel fare terrorismo psicologico in ogni situazione. Niente di nuovo forse per chi ha avuto modo di entrare nella redazione di Runway grazie al romanzo di Lauren Weisberg, Il diavolo veste Prada, o all’omonimo film tratto dallo stesso. L’unica differenza è che, se nel momento in cui guardavamo il film o leggevamo il libro, potevamo ancora ipotizzare che molto fosse frutto della fantasia dell’autrice, con The September Issue ci rendiamo veramente conto di com’è strutturato il mondo della moda, della sua crudeltà, ma allo stesso tempo del suo diabolico fascino. Una macchina infernale produttrice e divoratrice allo stesso tempo di soldi, dove non esistono amici, ma si è tutti contro tutti, dove Anna comanda e gli altri possono solo sottostare alle sue regole, ai suoi cenni.
Riuscirà questo documentario a farvi disinnamorare del fascino di Vogue? Ne dubito, anzi! Penso che correrete tutte in edicola ad acquistare il nuovo numero, purtroppo di Vogue Italia, ma un po’ del mondo Wintour c’è anche lì, credetemi. 

Ormai l'edizione di settembre dovrebbe già essere in edicola...devo correre!!!


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